“Le apps radio mono-stazione rappresentano delle applicazioni scorregge (fart apps) e in quanto tali sono considerate semplicemente spam dall’iTunes Store”, avrebbe risposto la direzione di Apple a Jim Barcus, presidente di DJB Radio Apps.
Pare che sia questa la ragione per cui, almeno dallo scorso 10 novembre, la direzione di Apple, in territorio USA, starebbe rifiutando l’ingresso alle sue piattaforme a qualunque applicazione radiofonica non comunitaria, a meno che quest’ultima non assuma la forma di una sorta di contenitore con “almeno cento streaming” di emittenti diverse. Questo quanto è apparso tra il 22 e il 24 novembre sui periodici online Radio Magazine e The Register, secondo cui i vertici della mela morsicata non vorrebbero capire che le stazioni radio, in qualunque paese, sono sempre in forte competizione e non avrebbero motivo, almeno generalmente, di apparire nella medesima applicazione. Un discorso che però lascia perplessi in molti, proprio perché piuttosto contraddittorio: ognuna di queste web radio non fa già effettivamente parte di quel grosso “contenitore” chiamato iPhone? La questione allora si sposta altrove: siamo proprio sicuri che, senza l’applicazione-contenitore di cui parlano i vertici di Apple, le web radio più modeste possano acquisire una discreta popolarità? Rispondere a questa domanda è meno difficile di quanto possa sembrare. Infatti, se la corsa alla creazione di applicazioni per iPhone e iPad è sintomo dell’indiscutibile necessità, da parte di tutti, di apparire tra le chance offerte da un dispositivo mobile avanguardista (iPhone o iPad), l’appartenenza ad un contenitore di web radio (locali e non, commerciali e non) potrebbe essere di per sé sintomo della certezza di affacciarsi ad un panorama composito del medesimo paese, senza lo sforzo iniziale, da parte delle emittenti stesse, di pubblicizzare la propria isolata applicazione ai propri ascoltatori. In altre parole, perché realizzare e gestire autonomamente un’applicazione specifica, quando il mercato potrebbe offrire un sistema più popolare nel quale fare confluire tutte le web radio e dove le stesse potrebbero comunque continuare, liberamente, a competere? La domanda non è fuori luogo, soprattutto se considerato il periodo di incredibile proliferazione e moltiplicazione di contenuti digitali (televisivi soprattutto, per quanto riguarda il nostro Paese, ma comunque digitali) su qualunque tipo di piattaforma. Ma rimanendo nel settore radiofonico, non è sbagliato pensare a sistemi di organizzazione delle web radio almeno a livello locale. L’unione fa la forza, soprattutto per i piccoli editori e ancora di più per tutti quei soggetti che, pur svolgendo attività senza scopo di lucro saranno a breve costretti (sempre nel nostro Paese) a versare un contributo una tantum per poter proseguire la propria attività. E’ chiaro che, a lungo andare, se tutti questi soggetti dovessero trasmettere in modo isolato, Apple o chi per esso potrebbe naturalmente selezionare l’ingresso ai propri dispositivi, allo scopo di offrire solo servizi di qualità a tutti clienti che pagano centinaia di dollari (o euro) per acquistare e utilizzare il proprio smartphone. Pertanto, la reazione apparentemente esagerata della direzione statunitense di Apple, secondo cui le fart apps starebbero riempiendo l’iStore, potrebbe avere un senso e suggerire a molti editori di web radio di organizzarsi piuttosto per costruire contenitori multicanale. A quel punto, trovandosi tutti insieme nello stesso posto, la competizione sarebbe forse ancora più stretta e decisiva, proprio come Jim Barcus desidererebbe: l’utente, infatti, sceglierà solo i migliori contenuti; contemporaneamente l’emittente o web radio, a sua volta, dovrà offrire qualcosa di realmente competitivo. E il pluralismo sarà comunque garantito a tutti. (M.M. per NL)