Paolo Romani ha le dita incrociate. Sta migrando il Lazio televisivo e le cose non sembrano affatto andare per il meglio. Gli artificieri del Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni si stanno sfinendo nel cercare di sminare il terreno radioelettrico; ma è dura, molto dura.
Se in Piemonte occidentale si fa ancora la conta degli accecati televisivi, qui, a causa dell’elevato numero dei competitori alle frequenze, della penuria delle risorse elettromagnetiche e della sindrome napoleonica dei network provider nazionali, si rischia l’ecatombe di piccole stazioni, lo storpiamento di emittenti storiche, oppure la deportazione in sovraffollati condomini digitali (mentre, per converso, qualche operatore locale di spicco raddoppia la propria presenza). Ma ciò che gela i vertici del ministero è che tali problemi si verificano in una regione, dove, tutto sommato, il quadro radioelettrico era conosciuto (pare che, in sede di conta, si siano solo smarriti un po’ di impianti autorizzati dalla magistratura civile…). Che succederà allora in Lombardia? Lì c’è il buio pesto ed opera (opera?) un Ispettorato territoriale che, alla vigilia dello switch-off, è perso nell’esame delle domande di sanatoria della legge Gasparri. Presentate nel 2004…