In Italia, come credo in qualunque altro paese occidentale, la questione “cervelli in fuga” ha sempre innescato la diffusione di laboriose discussioni, purtroppo spesso inconcludenti, che non smettono mai di seminare il malcontento, se pur per ragioni magari diverse, tra intellettuali e imprenditori in genere. Da una parte c’è chi ha provato a rovesciare il problema, spiegando che la mobilità dell’insegnamento dei “cervelloni” sarebbe al contrario uno dei principi fondamentali della tradizione intellettuale europea (vedi l’esempio di Erasmo da Rotterdam che, oltre ad insegnare in tutta Europa, ha ispirato il progetto E.r.a.s.m.u.s., acronimo inglese la cui traduzione è “piano d’azione europeo per la mobilitazione degli studenti universitari”). Dall’altra parte c’è invece chi, strenuamente convinto del danno che un paese può subire perdendo all’estero i propri talenti, avrebbe, tra le altre cose, fondato il movimento, non solo studentesco, “Brains on the run” (letteralmente “cervelli in fuga”, noto anche come “brain drain”, sebbene questa seconda espressione sia più definitiva). Sostenitore di quest’ultima corrente è sicuramente il papà del telefonino, Andrea Viterbi (foto), l’italiano cacciato da Bergamo nel 1939 a causa delle leggi razziali contro gli Ebrei, che la scorsa domenica ha presenziato la conferenza “Bergamoscienza”, nel quale è stato promosso con grande entusiasmo come testimonial esclusivo per gli studenti di ingegneria informatica. Viterbi nel 1966 sviluppò prima l’omonimo algoritmo, che tuttora permette il funzionamento dei cellulari, poi il Cdma (Code Division Multiple Access), quella particolare tecnologia dei cellulari a banda larga, oggi standard di trasmissione dei telefoni Umts. Ora, il cervello scappato, all’inizio del novecento, in quella California che ha scelto di dedicargli un’intera università (l’Università della California del Sud è stata battezzata “Viterbi School of Engineering”) ha ricevuto una laurea ad honoris causa in Ingegneria informatica, dimostrando agli studenti quanto il genio e la tecnologia possano operare insieme per ottenere risultati che permettono davvero l’evoluzione del mondo globale. Del resto, qualcuno la laurea la merita davvero. (Marco Menoncello per NL)