La Corte europea dei diritti dell’uomo, con decisione n. 33/04, ha dichiarato “palesemente infondato” il ricorso presentato da un privato cittadino di Vicenza contro le misure prese nei suoi confronti per non aver pagato il canone di abbonamento Rai. Nel 1999 il ricorrente aveva inviato una richiesta alla Rai chiedendo di volere sospendere il pagamento del canone e di non avere comunque più intenzione di corrisponderlo. L’effetto di tale richiesta è consistito, per il malcapitato vicentino, in una irruzione, avvenuta quattro anni dopo, della Guardia di Finanza che ha provveduto a sigillare il televisore in una busta di nylon in modo che l’apparecchio non potesse essere più utilizzato. Tale azione, ha sostenuto il cittadino avanti la Corte di Strasburgo, avrebbe comportato la violazione del suo diritto d’informazione ed ingerenze illegittime al rispetto della sua vita privata e familiare. Più precisamente il ricorrente si appellava agli articoli 1 (protezione della proprietà privata), 8 (libertà di espressione e, quindi, diritto all’informazione) e 10 (violazione della vita familiare, per l’ispezione della polizia tributaria in casa propria) della Convenzione europea. La Corte, pur ritenendo che l’azione della Guardia di Finanza abbia in qualche misura leso il diritto all’informazione dell’ex abbonato, nonché il rispetto della sua privacy, ha al contempo ritenuto che sia comunque lecito mettere in atto delle misure deterrenti volte al recupero delle somme di canone evase. La Corte europea, oltre a rammentare che la materia fiscale è di stretta competenza dello stato di appartenenza del contribuente, precisa che il canone Rai è dovuto anche da chi non desidera guardare i programmi Rai, poiché l’imposta è legittimamente richiesta nei confronti di chi possegga un televisore. Inoltre la tassa “non viene pagata in cambio della ricezione di un canale particolare ma è un contributo a un servizio per la comunità”. Secondo i giudici di Strasburgo, in base a quanto scritto nel Regio decreto legge n. 246 del 21 febbraio 1938, il ricorrente, così come tutti gli altri cittadini italiani, sono obbligati a pagare la tassa anche se non desiderano guardare i canali Rai. L’art. 1 del Regio decreto legge del 1938, che regola la disciplina degli abbonamenti Rai, prevede infatti che “chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento”, mentre l’art. 10 del R.D.L. prevede che l’abbonato, che non intenda o non possa, per qualsiasi ragione, più usufruire della visione delle trasmissioni e continui a detenere l’apparecchio presso di sé, ha l’obbligo di presentare al competente ufficio apposita denuncia su carta semplice specificando il tipo di apparecchio di cui è in possesso, che deve essere racchiuso in apposito involucro in modo da impedirne il funzionamento. La Corte di Strasburgo segnala inoltre che nell’Unione Europea ci sono altri 13 Paesi in cui i cittadini pagano il canone così come avviene in Italia: Austria, Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Finlandia, Francia, Regno Unito, Irlanda, Malta, Polonia, Svezia, Slovenia e Slovacchia. Per cui, il luogo comune degli italiani che pensano di essere i soli in Europa soggetti al pagamento di un canone per il servizio pubblico è del tutto infondato. (D.A. per NL)