Dopo la pubblicazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico delle linee guida per i prossimi bandi per la definizione delle graduatorie per i fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA) che avranno diritto ad essere trasportati sui nuovi mux T2 dal 2022 e la selezione degli operatori di rete che li veicoleranno, si sono diffusi immotivati allarmismi. In realtà, nella sostanza, le linee guida ministeriali nulla aggiungono e nulla tolgono a quanto ampiamente noto quantomeno da maggio.
Eppure, tra gli operatori si registrano atteggiamenti che spesso spaziano dal panico all’imprudenza. E’ il caso della ritenuta indisponibilità di capacità trasmissiva T2 per ospitare nel 2022 tutti gli attuali contenuti (FSMA) e dei costi per farsi veicolare.
Valutazioni sovente avventate, che rischiano di far assumere decisioni immotivate o comunque di commettere gravi errori strategici.
Già, perché se è vero che la riduzione delle frequenze disponibili per la televisione digitale terrestre giocoforza modererà forzatamente e sensibilmente il numero degli operatori di rete, gli algoritmi T2 consentiranno di recuperare in capacità trasmissiva quanto perduto in canali di trasmissione.
I calcoli sono infatti abbastanza agevoli e restituiscono un quadro ben lontano da quello dipinto dai portatori di allarmismi, ovviamente valutando quanto concretamente in onda oggi, al netto di duplicazioni ed autorizzazioni “sulla carta”.
Relativamente ai costi, fermo restando che non è interesse degli operatori di rete DTT spingere i fornitori di servizi di media audiovisivi sul satellite o su IP, ricordiamo che già nel 2010 erano state pubblicate tariffe improponibili che poi, sul lato pratico, in breve, si erano subito ridotte, fino a giungere agli attuali valori, nell’ordine di un quarto o meno delle cifre originarie (per la Lombardia, per esempio, da 20.000 euro + IVA/mese per 2 MB a 5.000 euro + IVA).
Insomma, come sempre, è il caso di non farsi prendere dal terrore e di valutare con serenità un passaggio sicuramente epocale, ma non così diverso, quanto a potenziale destabilizzazione, da quello avvenuto nel 2010 col passaggio dall’analogico al T1.
In quell’occasione, caso mai, l’effetto devastante fu quello contrario di quanto temuto oggi. Cioè di moltiplicare almeno per 6 il numero delle emittenti locali esistenti a fronte di un mercato che faticosamente riusciva a sostenere quelle già selezionate.
Ecco, forse il T2 servirà a riparare quello di errore.