Come al solito, si tratta di un’anomalia italiana, che perlopiù va a colpire le fasce economicamente più deboli, coloro che non ricaricano la scheda del cellulare di 50 euro alla volta, ma di tre, otto, venti euro al massimo. Si tratta di una sorta di “commissione” che i gestori della telefonia mobile italiana fanno pagare agli utenti ogni qual volta ricarichino il proprio telefono cellulare. E’ una cosa che accade solo in italia, dove i gestori aggiungono puntualmente alla quota di ricarica, un piccolo surplus, trascurabile una volta, ma decisivo sui costi di gestione se imposto ad ogni ricarica. Detti surplus variano, a seconda dell’importo della ricarica, da 1 a 5 euro per Tim, Vodafone e Wind, da 2 a 5 euro per H3G. Ufficialmente, questi costi non hanno una ragione d’esistere, dal momento che vanno semplicemente a riempire le casse degli operatori, senza che abbiano una funzione particolare. L’Autorità garante delle comunicazione e quella della Concorrenza e del Mercato si sono insospettite a causa della mancanza di concorrenza in questo particolare aspetto della “battaglia” per raccogliere utenza che questi operatori combattono giornalmente, anche con toni molto accesi. In questo ambito, invece, niente concorrenza. Probabilmente in virtù di accordi sottobanco, con l’unico obiettivo di farne pagare le spese agli italiani, per non correre il rischio che l’acerrima concorrenza finisca per cancellare, man mano, questi surplus del tutto “gratuiti” (si fa per dire). Secondo le due Autorità, oltretutto, questi costi vanno ad incidere maggiormente (dati e calcoli alla mano) sulle fasce di popolazione meno abbienti, su coloro che usufruiscono di ricariche telefoniche dall’importo minore: sono proprio loro a pagare un prezzo maggiore per ogni minuto di telefonata. La proposta di abbassamento o di abolizione della quota è stata avanzata, ora sarà dura fare in modo che venga attuata. (G.C. per NL)