Afghanistan, giovane giornalista difende i diritti delle donne: condannato a morte

Sayed Parwiz Kaambakhsh, ventitreenne studente della scuola di giornalismo e cronista di un giornale locale, avrebbe diffuso materiale preso su internet che rivendica la parità tra uomo e donna


In un Afghanistan sempre più lacerato dai conflitti interni, dove il potere centrale è debole e dove i mullah esercitano il vero dominio sulla popolazione, un giovane giornalista può ancora essere condannato a morte per aver esercitato il proprio diritto, riconosciuto dalla comunità internazionale, di critica nei confronti degli usi e i costumi del suo Paese e della sua religione. Quest’incredibile storia riguarda Sayed Parwiz Kaambakhsh, ventitreenne cronista di un piccolo quotidiano della sua città, Mazar, nonché studente della scuola di giornalismo presso l’Università di Balkh. Per comprendere a fondo le ragioni che hanno portato alla sua incarcerazione ed alla condanna a morte, in un processo-farsa senza che gli fosse garantita la difesa d’ufficio, occorre ricordare che Sayed è il fratello minore di Sayed Yaqub Ibrahim, giornalista noto in Afghanistan per la sua difesa dei diritti umani ed esponente di quel filone di giornalismo liberal che si è diffuso dopo la caduta, nel 2001, del regime talebano e che il presidente Karzai ha sempre sostenuto di difendere. A parole. Più volte Yaqub Ibrahim è stato vittima di attacchi, anche violenti, da parte dei fondamentalisti taliban che, dice, detengono il potere nelle province rurali dell’Afghanistan. Non sono mai riusciti, secondo quanto sostiene in un’intervista telefonica concessa al “Corriere” lo scorso 24 gennaio, a metterlo a tacere e ora ci provano con suo fratello minore, accusato del reato di blasfemia e offesa al “verbo” del Corano. Sayed, infatti, è stato arrestato lo scorso ottobre dopo aver diffuso nella sua Università testi, raccolti su internet, che definivano il profeta Maometto “un assassino e un adultero” e che difendevano i diritti delle donne, da sempre calpestati in questo Paese, specie nelle zone dove il regime talebano non ha mai smesso di dominare, con una provocazione: “Se un uomo, secondo il Corano può sposare fino a quattro mogli, perché una donna non può avere quattro mariti?”. Parole “blasfeme”, che sono costate care al giovane giornalista: arresto e, pochi giorni fa, la condanna a morte in primo grado. Il fratello, però, fa sapere che lui e la sua famiglia sono ancora fiduciosi e confidano che gli altri due gradi di giudizio possano sovvertire questa sentenza. Oltretutto, secondo la legislazione vigente in Afghanistan, il presidente Hamid Karzai potrebbe, se solo volesse, scagionare Sayed, dal momento che i suoi poteri gli consentono di modificare questo genere di sentenze. Se si considera, poi, che al momento della sua elezione il presidente aveva annunciato una svolta sul piano sociale, cominciando dalla concessione di alcune libertà fondamentali come la libera espressione, ci sarebbe d’attenderselo. Ben più complessa è, in realtà, la questione, dal momento che, sette anni dopo il rovesciamento dei talebani, questi continuano ad avere un’influenza decisiva nella guida del Paese, rendendo il governo centrale debole e privandolo di gran parte dei suoi poteri. Oggi, come spiega lo stesso Yaqub Ibrahim, i mullah fondamentalisti hanno il comando delle province, creano corti religiose locali per gestire autonomamente le questioni etico-religiose. Tutto questo davanti ad un governo centrale di Kabul inerme e colpevolmente compiacente. Meno di un mese fa, in proposito, una corte di “saggi” e conoscitori del Corano aveva messo al bando le telenovelas indiane, considerate il passatempo preferito da una grandissima fetta di popolazione afgana, e trasmesse dalla tv privata “Tolo tv”. In quell’occasione il Ministero dell’Informazione e della Cultura aveva messo in pratica i diktat dei “saggi”, dando un aut aut ai proprietari dell’emittente: se non avessero smesso di trasmettere gli sceneggiati indiani (ritenuti troppo “liberi” e perciò lesivi degli insegnamenti coranici) avrebbero chiuso.
Tornando al caso del giovane Sayed, il fratello maggiore sostiene che, nonostante si trovi in carcere (dove si trovava anche prima che la sentenza fosse ufficializzata) è tranquillo e crede nella giustizia, confidando nei successivi due gradi di giudizio. Molto scalpore, d’altronde, questo caso ha destato in tutto il mondo, scatenando le comunità di giornalisti presenti nei vari continenti, che lasciano presagire manifestazioni di protesta e pressioni sul governo perché Sayed vanga liberato. Il direttore dell’Associazione dei Giornalisti Indipendenti, Rahimullah Samander, ha inoltre dichiarato che “le accuse contro Sayed sono scioccanti. Di lui si deve occupare un’apposita commissione di giornalisti”. E forse anche il presidente Karzai dovrebbe dare un atto di forza, in virtù della tanto annunciata e mai messa in pratica emancipazione culturale, che il suo Paese attende ormai da sette anni. (Giuseppe Colucci per NL)

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