Abuso di diritto. La giurisprudenza si orienta sempre di più sull’inversione dell’onere della prova

Se nel delicato campo dell’elusione fiscale, finora, il contribuente poteva pensare di poter contare sulla necessità che l’Amministrazione finanziaria dimostrasse la prevalenza dei presupposti dell’indebito risparmio d’imposta conseguito attraverso complesse operazioni negoziali, tale soglia sembra che sia in procinto di essere definitivamente superata.

Fulgido esempio di quanto appena accennato, tra le altre, è costituito dalla sentenza n. 25537 del 30/11/2011 pronunciata dalla Corte di Cassazione, a dimostrazione di come il rapporto con il Fisco stia a poco a poco diventando sempre più difficile. Infatti, se la giurisprudenza sembrava fino a qualche tempo fa altalenate nel conferire all’Erario l’obbligo di dimostrare l’abuso di diritto a margine di negozi giuridici, il vento pare stia prepotentemente cambiando, ridimensionando il compito dell’Agenzia dell’Entrate alla ricostruzione di un quadro indiziario plausibile dal quale evincere la fraudolenza dell’operazione accertata. Dal canto suo, spetterà al contribuente l’onere di dimostrare ragioni economiche differenti dal mero risparmio fiscale, sottese al contratto posto in essere. Testualmente, con riferimento all’art. 37 bis D.P.R. n. 600/1973 (che oramai non ha più bisogno di presentazioni) il Collegio di legittimità ha ribadito il fondamentale tassello interpretativo, in base al quale non può essere opponibile al Fisco un’attività negoziale posta in essere con lo scopo di aggirare “obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario”, requisito che può ritenersi verificato laddove “(…) si assuma (…) che l’unico motivo dell’aggiramento della norma tributaria sia il conseguimento di un vantaggio fiscale”. Ma vi è di più, in quanto la Suprema Corte, nell’avallare la conclusione della Commissione Tributaria Regionale, seppur riservando al contribuente la possibilità di esperire la prova contraria, ha di fatto subordinato la validità delle ragioni negoziali all’accertamento della prevalenza del risparmio fiscale, segnando così la necessaria soccombenza – in casi del genere – del privato rispetto alle pretese erariali. Questo, all’evidenza, equivale a dire che l’attività elusiva eventualmente contestata escluderebbe di per sé la presenza di una valida motivazione da opporre all’Amministrazione finanziaria. In questi termini, ci risulta ben difficile rintracciare nella pronuncia in commento il rispetto di qualsivoglia criterio di giustizia sociale, anche se – purtroppo – i Giudici nazionali debbono talvolta convincersi attingendo alla giurisprudenza comunitaria sull’abuso di diritto, che ne amplia notevolmente la sfera di applicabilità. In proposito, sono già molti a rilevare un progressivo indebolimento della posizione del contribuente al cospetto del Fisco, perché – come detto – se “(…) è vero che, in linea di principio, l’onere [della prova, n.d.r] è in capo all’Amministrazione finanziaria (…), nel momento in cui il fisco disegna un quadro indiziario plausibile dal quale si evinca la presunzione di elusività dell’operazione, spetta poi al contribuente smontare tale teorema fornendo la prova dell’esistenza di un interesse economico (…) reale e non marginale”, assurgendo, in questo campo, l’abuso di diritto a vero e proprio “jolly” in mano allo Stato (cfr. Italia Oggi, 28/11/2011, p. 15). Ulteriormente, è ancora la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 22716 del 02/11/2011, descrive il campo di applicazione del principio generale dell’illegittimo risparmio d’imposta, anche indagando su differenti attività negoziali, perfezionatesi in momenti diversi ma – ci si passi la similitudine in sapore prettamente penalistico – in attuazione di un medesimo disegno elusivo. E’ questo il caso della donazione al coniuge di un terreno edificabile prima della cessione a terzi, che consenta, nella ricostruzione erariale confermata dal Giudice di terza istanza, all’originario proprietario di eludere il pagamento di imposte sulla relativa plusvalenza. Ad un tale – talvolta sconfortante – quadro giuridico di rifermento, fa da contrappeso l’interpretazione, ad oggi non smentita, di altri principi di ordine generale rinvenibili nell’ordinamento europeo e pienamente recepiti anche dalla legislazione nazionale. In effetti, la libertà d’impresa, la libera circolazione dei capitali e dei servizi nel territorio dell’Unione Europea e, nondimeno, la libertà di stabilimento, fondano talune pronunce della Cassazione (ad esempio la sentenza n. 25374 del 17/10/2008), che richiamano l’attenzione dell’Erario sulla dinamica e mutevole realtà economica di questi anni (che – giocoforza – non appare immediatamente comprensibile agli agenti accertatori ed, invero, non solo a loro). In merio, sono gli Ermellini a precisare che “l’impiego di forme contrattuali e organizzative che garantiscano un minor carico fiscale agli operatori economici, costituisce esercizio della libertà d’impresa e di iniziativa economica”, monito dal quale si desume che molte operazioni commerciali necessitano una disamina in chiave prospettica, non limitandone il significato al contingente risparmio fiscale. (S.C. per NL)
 

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