Roma – L’Autorità per le Telecomunicazioni statunitense (FCC) ha incaricato la Commissione interna per l’Ingegneria e le Tecnologie di proseguire la ricerca del cosiddetto “white space”, porzioni di spettro non impiegate da altri servizi.
Due le fasi dell’indagine: a partire dal 24 gennaio, per 4-6 settimane, si condurranno dei test di laboratorio, nei quali le apparecchiature verranno provate in condizioni sperimentali. Nella seconda fase verranno invece eseguiti test sul campo, per verificare la rispondenza alla realtà operativa dei risultati degli studi. L’operazione è parte di un processo di valutazione che precede l’immissione in commercio di nuovi apparati a bassa potenza per le telecomunicazioni di ultima generazione, concepiti per utilizzare zone dello spettro radio attualmente assegnate al servizio televisivo, ma non attivamente impiegate.
Nel caso specifico degli Stati Uniti, si tratta di individuare quelle porzioni dello spettro UHF, nei dintorni della frequenza di 700 MHz, che non risultino essere impiegate attivamente dalle strutture televisive e, in particolare, il cui utilizzo per scopi diversi non provochi alcuna interferenza ai servizi tutt’ora in esercizio.
A contrastare il brulicare di operatori che in tutto il mondo tentano di ritagliarsi uno spazio nel settore c’è qualche divergenza di carattere normativo. Molte aziende, infatti, hanno progettato e proposto alla FCC apparati che l’Autorità statunitense ha dovuto bocciare: “i sostenitori di tali apparati privi di licenza come Google e Microsoft non possono non ammettere che i loro dispositivi abbiano fallito i test della FCC”, dice Dennis Wharton, rappresentante di NAB, l’associazione dei broadcaster che tanto ha sostenuto la ricerca di spazio radio libero.
Le attività svolte da FCC sono frenetiche tanto quanto quelle di analoghe organizzazioni di altri paesi: le prospettive sono simili. Puntano a ridefinire i criteri di distribuzione delle frequenze, per i quali i governi si sono trovati spesso a doversi confrontare con pressanti richieste, provenienti dalle più disparate aree business, che spingono per ottenere spazio radio libero con cui dare sfogo alle capacità delle nuove tecnologie.
Sotto il profilo più specificamente tecnico, l’area dislocata nell’intorno dei 700 MHz presenta caratteristiche di grande rilievo, utili per conferire a tecnologie come il WiMax la capacità di coprire distanze elevate, superando buona parte degli ostacoli ottici e garantire così un più efficace contrasto al fenomeno del digital divide.
E in Europa? In accordo con la diversa distribuzione dello spettro radio, si svolge analoga ricerca: il Regno Unito, ad esempio, ha chiesto alla propria Authority (OFCOM) di riesaminare la distribuzione dello spettro intorno ai 900 e 1800 MHz, per consentire alle tecnologie 3G di sfruttare anche le frequenze più basse, dotate di migliori capacità di penetrazione degli ostacoli. La situazione britannica coincide con quella italiana, nella quale ad oggi le reti 3G non possono impiegare altro che la banda ad esse assegnata, quella dei 2 GHz, molto meno efficace sulle medie distanze e in presenza di ostacoli. La stessa Unione Europea ha sollecitato l’esame per riassegnare, nelle aree dello spettro in cui è localmente possibile, porzioni di gamme d’onda da destinarsi alle nuove tecnologie.
Gran parte del meccanismo è scattato, come ben sanno i lettori di Punto Informatico, dal momento dell’avvio della diffusione del digitale terrestre TV. Il DTT, potendo servirsi delle onde radio in modo molto più efficiente rispetto alle trasmissioni analogiche tradizionali, consente di portare a casa degli abbonati lo stesso numero di canali TV impiegando uno spettro radio molto più ristretto, liberandone così buona parte.
Marco Valerio Principato