Leggo con molto interesse su Newsline l’intervento di Roberto Squillario sul futuro digitale della radio e dell’FM in particolare. La qualità e il tono del dibattito dimostrano quanto sia maturato il livello di consapevolezza, anche intorno alla materia tecnica. Con persone così compententi, la radio digitale in Italia meriterebbe maggiore considerazione da parte di tutti ma questo è un altro discorso.
Squillario appartiene dichiaratamente alla scuola di pensiero delle soluzioni In Band. E conclude la sua disamina delle varie tecnologie con un riferimento a una non meglio circostanziata proposta di un ibrido FM digitale che prevede l’affiancamento, nella finestra spettrale, di una componente analogica FM monofonica e di una componente DRM “eventualmente modificato”.
E’ vero, tra le varie ipotesi di cui si discute a proposito di DRM+ (perché oltre i 30 MHz di DRM+ si dovrebbe parlare) c’è anche un ibrido di questo tipo. Ma l’occupazione di banda in questo caso sarebbe di almeno 200-300 kHz, almeno da quello che ho letto io qui e qui.
Devo dire che non capisco bene la ratio nell’utilizzare un sistema ibrido così concettulmente simile a FMeXtra e soprattutto come si potrebbe giustificare l’adozione di un ibrido la cui parte analogica sarebbe monofonica. Squillario sostiene che l’ibrido FM+DRM garantirebbe una larghezza di banda inferiore a quella dell’FM analogico, ma mi permetto di dubitare della reale fattibilità della cosa. Inoltre, con l’attuale base installata di car radio analogiche stereo, non si capisce chi accetterebbe di buon grado di degradare a mono la propria componente analogica solo per far spazio a uno stereo digitale per il quale non esiste se non un semplice abbozzo di mercato dei ricevitori.
La vera perplessità riguarda però questa strana passione – che non è solo di Squillario intendiamoci – per le tecnologie In Band. L’idea, forse, è che siano un buon modo per salvaguardare gli investimenti esistenti. Squillario sostiene che una nuova infrastruttura DAB costerebbe come una rete di telefonia cellulare. Non credo proprio, la granularità è molto diversa, soprattutto in banda III e la possibilità di riutilizzare tralicci e impianti esistenti c’é. Nessuno parla più di DAB per i piani futuri, ma di DAB+ e DMB, cioè della possibilità di attivare multiplex da 20 e più stream. Se si adottasse finalmente un modello che separa la creazione e il controllo dell’infrastruttura dai contenuti che vi verranno trasportati, probabilmente i costi si ridurrebbero ulteriormente.
Non dobbiamo dimenticare chi, finora, è stato fautore delle tecnologie In Band: gli americani con HD Radio e una parte della comunità dei broadcaster internazionali con il DRM. Gli uni non hanno molte alternative per la digitalizzazione della radio, in un mercato di formati in concorrenza, dove i network si fanno con la syndication dei programmi e i mercati pubblicitari sono fortemente locali. Gli altri che si sono di colpo trovati davanti a clamorosi tagli dei budget per il finanziamento delle trasmissioni, uniti a un forte calo di interesse da parte degli ascoltatori e alla pazzesca concorrenza della radiofonia via satellite e locale.
Con il loro territorio sterminato e la necessità di coprire migliaia di micro aree gli americani avrebbero – loro sì – enormi difficoltà e costi da sostenere con un approccio Out of Band. Mentre per le onde corte si trattava di rinnovarsi o perire (e a mio modo di vedere è stata scelta la strada peggiore per rinnovarsi, confidando in un potere taumaturgico che da sola la tecnologia non ha mai avuto). Il fatto che si parli oggi di DRM in onde medie e FM tradisce solo la forte delusione che il sistema ha avuto nella porzione di spettro originariamente pensata per lui. Viceversa, il caso britannico dimostra che soprattutto in Europa il DAB, unito a una buona regolamentazione, è una soluzione percorribile anche con i vecchi codec (figuriamoci con le nuove codifiche). Rendiamoci conto che se ancora stiamo pensando al falso “problema” delle frequenze in banda II e III, con l’avvento del Tetra e del T-DVB in UHF in Europa si libereranno quasi completamente le frequenze tra i 40 e gli 88 MHz e tra i 140 e i 220 MHz, stiamo parlando di buoni 100 – 120 MHz di spazio che il T-DMB potrebbe occupare senza tutte queste difficoltà. Lasciando 20 MHz dell’FM (21 se ci mettiamo anche le onde medie) alle emittenti, magari alle meno ricche, affinché possano proseguire con l’analogico almeno per almeno un altro decennio.
E già che ci siamo proviamo a introdurre in Italia regolamentazioni e controlli nuovi, compatibili con la sperimentazione, per chi la desidera, di tecnologie ibride sull’FM e l’AM. Tecnologie già consolidate, però, non chissà quali alchimie basate su sistemi mai visti. I recenti movimenti di mercato dimostrano che nel’italico Far West dell’FM analogica, gli editori non battono ciglio all’idea di spendere milioni per acquisire qualche frequenza in più. Quanto costerebbe, piuttosto, investire meno soldi nell’implementare e promuovere una tecnologia out of band nuova, per la quale, tutto sommato, le frequenze si troverebbero eccome?