I dati sulla raccolta pubblicitaria in Italia sembrano dei bollettini di guerra di un paese in ritirata.
Sebbene grazie alle buone performance dei mesi di aprile e, soprattutto, maggio la soglia psicologica del -20% del comparto non sia stata toccata ed anzi il preoccupante – 18% si sia ridotto di quasi due punti percentuali, la situazione rimane molto grave. E, come sempre, quando si è nella tempesta si fanno previsioni azzardate. Come, per esempio, che i media più radicati (stampa, tv e radio) sarebbero destinati all’estinzione a favore dell’emergente pubblicità web, che si appresterebbe ad aggredire anche il mercalo della locale. In realtà, dare per morti i mezzi di comunicazione di massa ancora più pianificati, sarebbe un errore gravissimo almeno per due motivi. Il primo, è che l’efficacia commerciale del medium non si valuta sul volume d’affari generato, ma sui riscontri forniti all’inserzionista. La storia pubblicitaria è piena di fuochi di paglia determinati da presunte killer app. che avrebbero dovuto riscrivere le regole dell’advertising, ma che, a distanza di breve tempo, sono state accantonate dai clienti che le avevano testate a favore dei classici strumenti, magari meno impetuosi, ma certamente più rodati. Il secondo, è che stampa (tradizionale), tv e radio sono in evoluzione esattamente come lo è la comunicazione nel suo complesso. Sicché, nel considerarli statici e anacronistici, si incorrerebbe nell’errore del responsabile tecnico del British Post Office, Sir William Preece, che, nel 1876, dichiarò: “Forse gli americani hanno bisogno del telefono, noi no. Abbiamo un sacco di fattorini.”